Solennità dei S. Principi degli Apostoli Pietro e Paolo
«In questa Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, il vostro devoto pensiero e affetto, diletti figli della Chiesa Cattolica universa, si rivolge a Roma con la strofa trionfale:
O Roma felix, quae duorum Principum
es consecrata glorioso sanguine!
O Roma felice, che sei stata consacrata
dal sangue glorioso di questi due Principi!
Ma la felicità di Roma, che è felicità di sangue e di fede, è pure la vostra; perché la fede di Roma, qui sigillata sulla destra e sulla sinistra sponda del Tevere col sangue dei Principi degli Apostoli, è la fede che fu annunziata a voi, che si annunzia e si annunzierà nell’universo mondo.
Voi esultate nel pensiero e nel saluto di Roma, perché sentite in voi il balzo della universale romanità della vostra fede.
Da diciannove secoli nel sangue glorioso del primo Vicario di Cristo e del Dottore delle Genti la Roma dei Cesari fu battezzata Roma di Cristo, a eterno segnale del principato indefettibile della sacra autorità e dell’infallibile magistero della fede della Chiesa; e in quel sangue si scrissero le prime pagine di una nuova magnifica storia delle sacre lotte e vittorie di Roma.»
(S.S. Pio XII, Omelia nella Solennità dei Ss. Pietro e Paolo, 29 giugno 1941)
Particolare degli affreschi raffiguranti il Collegio Apostolico nella Chiesa di Santa Maria
Riflessioni sulla Festa odierna dall'Omelia del Santo Padre Benedetto XVI:
La tradizione cristiana da sempre considera San Pietro e San Paolo inseparabili: in effetti, insieme, essi rappresentano tutto il Vangelo di Cristo. […]
Nel brano del Vangelo di San Matteo che abbiamo ascoltato poco fa, Pietro rende la propria confessione di fede a Gesù riconoscendolo come Messia e Figlio di Dio; lo fa anche a nome degli altri Apostoli. In risposta, il Signore gli rivela la missione che intende affidargli, quella cioè di essere la «pietra», la «roccia», il fondamento visibile su cui è costruito l’intero edificio spirituale della Chiesa (cfr. Mt 16,16-19).
Ma in che modo Pietro è la roccia? Come egli deve attuare questa prerogativa, che naturalmente non ha ricevuto per se stesso? Il racconto dell’evangelista Matteo ci dice anzitutto che il riconoscimento dell’identità di Gesù pronunciato da Simone a nome dei Dodici non proviene «dalla carne e dal sangue», cioè dalle sue capacità umane, ma da una particolare rivelazione di Dio Padre. Invece subito dopo, quando Gesù preannuncia la sua passione, morte e risurrezione, Simon Pietro reagisce proprio a partire da "carne e sangue": egli «si mise a rimproverare il Signore: ...questo non ti accadrà mai.» (16,22). E Gesù a sua volta replicò: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo.» (v. 23).
Il discepolo che, per dono di Dio, può diventare solida roccia, si manifesta anche per quello che è, nella sua debolezza umana: una pietra sulla strada, una pietra in cui si può inciampare – in greco skandalon. Appare qui evidente la tensione che esiste tra il dono che proviene dal Signore e le capacità umane; e in questa scena tra Gesù e Simon Pietro vediamo in qualche modo anticipato il dramma della storia dello stesso Papato, caratterizzata proprio dalla compresenza di questi due elementi: da una parte, grazie alla Luce e alla Forza che vengono dall’alto, il Papato costituisce il fondamento della Chiesa pellegrina nel tempo; dall’altra, lungo i secoli emerge anche la debolezza degli uomini, che solo l’apertura all’azione di Dio può trasformare.
E nel Vangelo di oggi emerge con forza la chiara promessa di Gesù: «le porte degli inferi», cioè le forze del male, non potranno avere il sopravvento, «non praevalebunt». […] La promessa che Gesù fa a Pietro è ancora più grande di quelle fatte agli antichi profeti: questi, infatti, erano minacciati solo dai nemici umani, mentre Pietro dovrà essere difeso dalle «porte degli inferi», dal potere distruttivo del male. […] Pietro viene rassicurato riguardo al futuro della Chiesa, della nuova comunità fondata da Gesù Cristo e che si estende a tutti i tempi, al di là dell’esistenza personale di Pietro stesso.
Passiamo ora al simbolo delle chiavi, che abbiamo ascoltato nel Vangelo. […] La chiave rappresenta l’autorità sulla casa di Davide: […] a Pietro, a lui, in quanto fedele amministratore del messaggio di Cristo, spetta di aprire la porta del Regno dei Cieli, e di giudicare se accogliere o respingere (cfr. Ap 3,7).
Le due immagini – quella delle chiavi e quella del legare e sciogliere – esprimono pertanto significati simili e si rafforzano a vicenda. L’espressione «legare e sciogliere» […] allude da un lato alle decisioni dottrinali, dall’altro al potere disciplinare, cioè alla facoltà di infliggere e di togliere la scomunica. Il parallelismo «sulla terra… nei cieli» garantisce che le decisioni di Pietro nell’esercizio di questa sua funzione ecclesiale hanno valore anche davanti a Dio. […]
Appare chiaramente che l’autorità di sciogliere e di legare consiste nel potere di rimettere i peccati. E questa grazia, che toglie energia alle forze del caos e del male, è nel cuore del ministero della Chiesa. Essa non è una comunità di perfetti, ma di peccatori che si debbono riconoscere bisognosi dell’amore di Dio, bisognosi di essere purificati attraverso la Croce di Gesù Cristo.
I detti di Gesù sull’autorità di Pietro e degli Apostoli lasciano trasparire proprio che il potere di Dio è l’amore, l’amore che irradia la sua luce dal Calvario. Così possiamo anche comprendere perché, nel racconto evangelico, alla confessione di fede di Pietro fa seguito immediatamente il primo annuncio della passione: in effetti, Gesù con la sua morte ha vinto le potenze degli inferi, nel suo sangue ha riversato sul mondo un fiume immenso di misericordia, che irriga con le sue acque risanatrici l’umanità intera.
Benedetto XVI
Omelia nella Solennità dei Santi Principi degli Apostoli Pietro e Paolo, venerdì 29 giugno 2012
(testo completo dell'Omelia)